"Camilleri č il cronista - sottolinea S. S. Nigro - il favolista e il mitografo della comunitŕ vigatese. Racconta di Minica e di suo marito. Della loro modesta vita nella solitaria casetta gialla, accanto a un pozzo e a un ulivo saraceno: in un paesaggio arcigno, blandito dal vicino mare e dalla luce". Siamo in Sicilia, tra Vigata e Castelvetrano negli ultimi anni del fascismo. Lungo la linea ferroviaria che collega i paesi della costa fare il casellante č un privilegio non da poco: una casa, il pozzo, uno stipendio sicuro, ma la zona, alla vigilia dello sbarco alleato, si va animando di un via vai di militari e i fascisti, quasi presagendo la fine imminente, si fanno piů sfrontati. A Nino Zarcuto, "trentino, beddro picciotto" č toccato un casello stretto tra la spiaggia e la linea ferrata. Si č sposato con Minica e aspettano, finalmente, un figlio. Il lavoro č poco, quindi c'č tempo per l'orto e per andare ogni tanto in paese dove Nino, appassionato di mandolino, puň anche dilettarsi con l'amico Totň in qualche serenata improvvisata. Poi una notte, mentre Nino č in carcere, colpevole di avere ridotto le canzoni fasciste a marce e mazurche con chitarra e mandolino, un evento sconvolgente travolge la vita di Minica. Un romanzo in cui mito e storia si intrecciano in quello che Camilleri definisce il secondo romanzo - dopo "Maruzza Musumeci" di una "trilogia della metamorfosi".