Il 4 maggio 1949 – settant’anni or sono – l’aereo che trasportava i calciatori del Grande Torino si schiantava sul contrafforte collinare di Superga, nei pressi della città, ai piedi della Basilica dello Juvarra. Trentuno le vittime, fra cui 18 giocatori, tutti nazionali. Una perdita gravissima per il Club granata e per il calcio italiano, costretto a ricominciare da capo per la ricostruzione di una squadra nazionale all’altezza del suo passato prestigio. L’eco della tragedia investì l’intera penisola in tutta la sua drammaticità, perché in quegli anni tutta Italia tifava per il Torino. Costruita con paziente sagacia dal presidente Ferruccio Novo, la squadra, imbattibile eppure umanamente simpatica a tutti, diventò nel volgere di pochi anni il simbolo di una nazione intera, determinata alla fine di poter risollevare la testa dopo le brutture di una guerra terribile che l’aveva piagata nel corpo e nel morale. Assistere alle partite dei campioni granata, guidati dal capitano Valentino Mazzola, era una festa per tutti, anche per quelle tifoserie che avrebbero pagato di tasca propria per vedere la propria squadra sconfiggere il dirompente Torino, pur consapevoli dell’impossibilità dell’impresa. Con i granata in campo si tornò a sorridere, a fare della domenica un giorno di svago e di allegria. Lo spettacolo di gioco offerto dalla squadra a un tratto divenne a tal punto affascinante, magnetico da far dire a qualcuno che anche nel calcio si nascondeva dell’arte. A Torino, la città che continuità godeva delle loro imprese, i giocatori del Torino furono fortemente amati anche in virtù della loro imbarazzante semplicità che li faceva uomini come tutti gli altri, partecipi attivi della quotidiana vita cittadina, e non ectoplasmi capaci di materializzarsi soltanto sul campo della domenica. E chi lascia una così profonda eredità di affetti non muore mai. Ed è ciò che è accaduto al Grande Torino che non è mai morto, continuamente rivitalizzato dalla memoria e dall’amore di chi lo vide giocare e di chi, venuto dopo, ne ha conosciuto la grandezza. Il libro vuole ricordare tutto questo, l’avventura sportiva e persino intima di un gruppo di atleti capaci di non stancarsi di vincere senza con questo ritenersi imbattibili. Lo scopo è quello di suscitare emozioni attraverso la magia del disegno e della parola. Un omaggio ai Campionissimi a 70 anni dal loro addio alla vita.