Tanto regolata e coronata dal successo fu la vita di Giuseppe Arcimboldo, quanto accidentato e censurato dall’oblio il destino postumo delle sue opere. Pittore tra i più amati, lusingati e imitati del suo tempo, svolse onorata carriera al servizio di arcivescovi e imperatori; i suoi dipinti subirono invece il flusso di alterne vicissitudini, andarono in gran parte dispersi e confusi nella massa delle modeste e anonime imitazioni. Intravista come «curiosità» e relegata nella sottospecie dei «capricci e bizzarrie» dal gusto dominante, la sua opera fu pressoché ignorata dalla letteratura artistica ufficiale, o citata solo accidentalmente, spesso a sproposito; questo artista strabiliante è stato un «caso», vagamente romanzesco, della storia dell’arte, e la sua biografia rimane affidata alle sole testimonianze dei ridondanti panegirici che gli dedicarono i suoi contemporanei e alle puntigliose note spese riesumate dagli archivisti tra i documenti e la contabilità dei suoi potenti mecenati. (Dallo scritto di Corinna Ferrari)